Samantha Bernardi
PSICOLOGA DELLO SPORT
Psicologa dello Sport, psicoterapeuta Ph.D., specialista in Psicoterapia Cognitiva Neuropsicologica e Dottore di Ricerca. Responsabile del Servizio di Psicologia dello Sport e della Performance presso l’Istituto Superiore di Sanità e di Apprendimento Avanzato di Milano.
Docente e Coordinatrice della Commissione di Psicologia della Scuola per lo Sport CONI Emilia Romagna. Presidente Breaking the Silence ODV, associazione che contrasta la violenza in ambito sportivo, scolastico e sociale.
Competere: Un Viaggio Condiviso, Non Uno Scontro Solitario
Nel discorso comune, il termine “competizione” evoca una semantica di opposizione e confronto antagonistico. Tuttavia, un’indagine etimologica rivela la sua radice latina: com-petere, che denota un “tendere con” o “andare insieme verso una meta”. Questa re-interpretazione linguistica non è un mero esercizio filologico, ma una rivoluzione concettuale che disloca la competizione dal paradigma dello scontro per ancorarla a quello della co-azione orientata.
Filosoficamente, ciò rimanda a una visione dell’ altro (alterità) non come ostacolo, ma come condizione per l’auto-realizzazione. La presenza dell’altro, in questa prospettiva, non è una minaccia alla propria identità, bensì un catalizzatore per l’evoluzione ontologica e personale, un “tu” che svela e potenzia il “io”.
Questa rilettura ci conduce direttamente al concetto di possibilità fino a giungere al cuore della psicologia dello sport, una disciplina che trascende la mera ottimizzazione della performance atletica.
L’atleta viene qui riconosciuto come persona, un’entità olistica, un sistema complesso e integrato in cui corporeità, cognizione, affettività e dinamiche relazionali sono inestricabilmente connesse. Lo psicologo dello sport, lungi dall’essere un mero “mental coach”, emerge come un professionista che affianca l’individuo in un percorso di autoconsapevolezza, autonomia funzionale e sviluppo integrato. L’intervento non mira solo a migliorare le metriche prestative, ma a coltivare un benessere psicofisico intrinseco e sostenibile nel tempo.
L’approccio che da anni sposo (quello della psicoterapia cognitivo-neuropsicologica) offre una cornice teorica di eccezionale profondità. Essa concepisce l’esperienza umana come incarnata, situata e relazionale. Mente e corpo non sono entità dualistiche ma aspetti co-emergenti di un medesimo campo fenomenico. La memoria non è un magazzino statico, ma un processo dinamico che modella il presente, e la biologia si intreccia in un feedback continuo con il contesto socio- culturale. L’atleta, in questa luce, non è riducibile a un mero esecutore di gesti tecnici, ma è un soggetto che agisce immerso in una rete di significati, una persona ricca di affetti e narrazioni che modulano profondamente la sua percezione e interazione con l’ambiente sportivo.
Da questa prospettiva, l’intervento psicologico non si limita a una riduzione “sintomatologica”, passatemi il termine, (es. ansia da prestazione) o a un mero potenziamento di funzioni cognitive (es. concentrazione). Si configura invece come un processo di accompagnamento nel co-costruire un senso più profondo dell’agire, nel riconoscimento dei propri limiti e risorse intrinseche ed estrinseche, nell’elaborazione delle esperienze traumatiche o frustranti, e nella definizione di un’identità sportiva e umana autentica e coerente.
È un vero e proprio viaggio verso l’integrazione delle diverse componenti del sé. Pertanto, competere non è un mero “correre più forte” o un “arrivare primi” in un’ottica di mera superiorità. È, essenzialmente, un atto di co-abitazione esistenziale nell’arena della vita – sia sportiva che quotidiana – con piena presenza e consapevolezza.
È un andare insieme: con il coach, con i compagni di squadra, con gli avversari, ma soprattutto, in un dialogo continuo e profondo, con se stessi.
In questo percorso, la figura dello psicologo si erge non come giudice esterno, ma come testimone partecipe e competente, capace di sostenere, riflettere criticamente, sfidare costruttivamente e comprendere empaticamente. La sua presenza diventa un atto profondamente etico e trasformativo: uno spazio di riflessione, relazione e performance dove l’atleta può finalmente incontrarsi con la propria soggettività, riconoscere le proprie potenzialità e vulnerabilità, e riscoprire il significato trascendente del proprio essere in cammino. Insieme.
Questa rilettura della competizione non è solo un’astrazione filosofica, ma una matrice operazionale per un approccio più umano e performante allo sport e alla vita.
Sei pronto a ridefinire la tua idea di competizione e a intraprendere questo viaggio con un nuovo sguardo?